Il risultato è casuale, la prestazione no

by Valentino Cerrone

Scorrendo velocemente i quotidiani c’è stata una notizia che mi ha colpito scatenando una serie di collegamenti e riflessioni sullo svuotamento semantico della parola performance.

In base a quanto riportano le principali testate del settore calcio, il Manchester City avrebbe assunto ben quattro astrofisici per supportare lo staff tecnico del vincente allenatore spagnolo Pep Guardiola, allo scopo di analizzare i dati grezzi ed estrarre informazioni, per un processo di miglioramento continuo, teso ovviamente a vincere il più possibile e velocemente.

Questa notizia non solo conferma lo scardinamento delle direttrici che hanno guidato la performance classicamente intesa ma altresì mina in profondità il significato quasi romantico e mitizzato della vittoria, che scolora purtroppo in un anonimo obiettivo da centrare e poi rianalizzare per estrarre ulteriori informazioni da discutere e riutilizzare.

Fino a qualche decennio fa, sia gli artisti che gli sportivi, pensavano e modulavano il proprio agire principalmente sulle personali aspirazioni, ideali o semplicemente inseguendo le proiezioni dei sogni; in pratica ponevano queste tensioni interne dentro un processo rigoroso e duro, spesso portato avanti per tentativi, insuccessi, modifiche in corso, per realizzare, nel caso dell’artista, o conseguire, se parliamo di un atleta, una performance eccellente.

Con l’irrompere però da un lato, dei big data e della big data anlytics and reporting, dall’altro della biotecnologia in forme sempre più raffinate, si è innescato un processo silenzioso ed inarrestabile di ribaltamento del processo creativo e performativo.

Analizzando l’applicazione delle metodologie e tecnologie, soprattutto negli sport di endurance che meglio conosco e pratico, emerge una massiccia tendenza ad estrapolare, gestire ed elaborare una mole incredibile di informazioni e dati che vengono poi processati e classificati in tempi rapidi.

L’atleta è al contempo Homo deus nell’utilizzo dei big data, in quanto applica concetti statistici come la media, la moda, la mediana e parametri fisici e chimici alle proprie sessioni di allenamento; ma allo stesso tempo è divenuto anche una fonte preziosa dalla quale estrarre più informazioni possibili da mettere a sistema e un prototipo sul quale testare modelli e strategie nuove.

Se è indubbio il miglioramento prestativo, non mancano le sorprese, inaspettate e piacevoli, che variabili come il caso e le energie latenti hanno giocato in ben due distinte occasioni.

Primo “scherzo” del caso.

Aprile 2018, Boston, la più antica maratona del mondo, giunta alla cento ventiduesima edizione. Favoriti per la vittoria erano all’epoca Geoffrey Kirui, Shadrack Biwott ed il fortissimo idolo di casa Galen Rupp, l’élite dell’atletica che dominava da anni il mezzofondo.

Ma c’è un fattore che scombinò tutto, un nubifragio tremendo. Nel bel mezzo di queste condizioni proibitive, un outsider, Yuki Kawauchi, impiegato comunale giapponese, che vantava sicuramente tempi di tutto rispetto, sembrava non soffrire il vento e la pioggia che invece mandarono in tilt gli atleti “invincibili”, monitorati tecnologicamente, supportati da staff interdisciplinari. Il giapponese tagliò il traguardo per primo aggiudicandosi la più prestigiosa maratona, grazie ad un controllo di gara perfetto ed energie latenti che lo spinsero ad un’impresa epica che verrà ricordata e celebrata negli anni.

Secondo “scherzo” del caso.

Il caso ama giocare con i dadi e nuovamente un outsider nel novembre 2019 stupirà gli atleti più blasonati e sponsorizzati proprio alla Maratona di New York. Con il pettorale numero 443, privo di nome, in quanto non collocato nel blocco dei top runners, Bekele Gebre, farà la sua storia, senza sponsor, senza un agente, senza un team a supporto.

Partendo dalla seconda onda, risalendo di posizione in posizione, lo sconosciuto Bekele Gebre si agganciò al treno dei più forti, facendo selezione e guadagnandosi al traguardo la terza piazza assoluta!

Alcune voci addirittura riportano che dormì su un divano letto di un amico che lo ospitava la sera prima della gara.

Concludendo, questi due emblematici episodi ci ricordano che, la variabile del caso e le energie nascoste, nei sotterranei dell’animo, del corpo e negli interstizi della nostra mente, possono ancora influenzare la performance e orientare la vittoria.

Leggi anche Prosperare nel disordine o fuggire dalla complessità?

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